In ogni portafogli è normale trovare monete di carta ed anche di plastica. Ognuno di noi si porta appresso pezzi di carta stampata con i quali può comprare beni e servizi. Perché tutti li accettano? Qual è la storia di questi “pezzi di carta”?

All’inizio erano solo monete di metallo definito prezioso, ma realmente è sconosciuto il motivo del perché siano stati scelti l’oro, l’argento ed il rame in particolare rispetto ad altri. Potremmo scomodare strane e bizzarre teorie, comunque le prime monete d’oro hanno iniziato a circolare attorno al 250 a.C. ed in seguito gli imperatori, che si sono via via succeduti, ne hanno create di differenti tipi cambiandone i nomi ed utilizzando pesi differenti.
Questa nuova abitudine rendeva gli scambi più semplici, ma esigeva la presenza fisica delle monete stesse: esigenze di sicurezza, di trasporto e di praticità fecero nascere inizialmente della carta/moneta che era, di fatto, una ricevuta di versamento. Le prime, a parte una citazione biblica del Mamrè di cui si parla diffusamente nel Libro di Tobia, appaiono in Cina nell’812 d.C. ma per poco tempo, anche a seguito di carenze di rame con il quale era coniata gran parte della moneta; solo un secolo dopo apparvero i primi biglietti di cambio garantiti non dallo Stato, ma da grandi ed importanti famiglie che facevano da garanti.
In Europa la stessa procedura venne realizzata dall’Ordine Templare che a fronte di depositi effettuati nelle commanderie templari delle principali città europee offriva a garanzia lettere di cambio scritte in linguaggio alchemico. Questa carta poteva essere facilmente riscossa nella commanderia di arrivo del viaggio e l’Ordine si tratteneva un aggio per il lavoro svolto. Siamo nel XII secolo.
Solo successivamente, attorno al 1250 in Cina si ebbe la prima vera carta moneta, un autentico succedaneo delle monete e già Marco Polo ne parla nel suo celeberrimo libro. Nel vecchio continente occorre arrivare al 1661 in Svezia con la banca fondata da John Palmstruch per assistere ad una emissione continuativa appoggiata dallo Stato.
Questo fatto avvenne per carenza di rame, ancora una volta, e, soprattutto, perché il valore intrinseco delle monete superava quello nominale mentre lo stato non riusciva a coniare grandi quantità di monete di metalli non nobili.
Il Daler, nome della prima carta moneta ufficiale, venne stampato in vari tagli e riportava diciture valide ancora oggi: una numerazione progressiva, misure di sicurezza contro le falsificazioni, firme a garanzia del rimborso: erano come delle “cambiali” (lettere di cambio) riscuotibili a vista al portatore.
Lo Stato svedese chiese subito ingenti prestiti alla banca con il risultato di uno scandalo al diffondersi della notizia della mancata copertura delle monete. Potremmo commentare che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.
In Italia la prima banconota fu quella emessa nel 1746 dalle Regie Finanze di Torino con un decreto che motivava l’introduzione dei biglietti che dovevano “facilitare il vantaggio del pubblico Commercio”. A questo decreto ne seguirono altri con norme circa la falsificazione delle banconote e con la specifica che i biglietti dovevano circolare allo stesso modo del contante.
Qualche decennio dopo. con l’avvento di Napoleone, in Europa i funzionari francesi decisero che la carta moneta doveva avere lo stesso valore di quella tradizionale, mentre la convertibilità in oro di tanto in tanto veniva sospesa per esigenze economiche. Nel XX secolo la prima guerra mondiale e la rovinosa depressione del 1929 portò anche a drammatiche svalutazioni tra monete accompagnate da pesanti fenomeni di inflazione, con importanti conseguenze nella relazione tra circolante ed i depositi in oro detenuti dai singoli stati, in Germania in particolare durante la repubblica di Weimar.
La convertibilità in oro della carta moneta, ormai considerata veicolo accettato e riconosciuto di pagamento, non veniva considerata così fondamentale: l’ultima moneta che deteneva ancora questo primato, il dollaro USA, dichiarò l’abolizione della copertura con gli accordi di Bretton Woods nel 1973, ecco spiegato il grande valore tuttora attribuitogli. A oggi nessuna moneta rappresenta un equivalente di oro o metalli preziosi: le banche centrali si limitano ad avere riserve auree a loro discrezione, sapendo che più importante è la quantità di oro detenuto, più “garantita” viene percepita la moneta di riferimento.
Diviene così fondamentale il ruolo del Ministero del Tesoro di uno stato che battendo carta moneta in accordo con la Banca centrale, crea, di fatto, ricchezza dal nulla. Uno stato non potrà mai fallire perché sarà sempre in grado di pagare i suoi debiti stampando moneta o titoli a richiesta: dovrà stare attento di non inondare il mercato di titoli per evitare un’inflazione che porterà un aumento generalizzato dei prezzi con la necessità conseguente di stampare sempre più soldi, ma indebolendone il valore.
Se la moneta dovesse perderne rispetto alle altre, ovvero nel caso della svalutazione, essa si riprenderà prontamente poiché i propri prodotti diventeranno concorrenziali sui mercati esteri. Andamenti di inflazione e svalutazione portano ad una serie di balletti economici tra stati, modificandone strada facendo le rispettive quotazioni e rapporti.

S’inserisce qui un fenomeno improvviso quanto insensato ed economicamente assurdo: lo svincolo della Banca d’Italia dallo stato. Nel 1981, il ministro del Tesoro Andreatta libera la Banca centrale dall’obbligo di acquistare i titoli di stato invenduti, permettendone inoltre la vendita di quote ad altri enti non statali, come altre banche ed assicurazioni, le cui proprietà sono al di fuori di organi controllati dallo Stato e soggette pure a cambiare di mano.
Di fatto pur essendo la Banca d’Italia un istituto di diritto pubblico non è più obbligata in solido nei confronti dello stato italiano con conseguente nascita di due anomalie rilevanti. La prima è che i titoli di stato in un paese debole, per essere integralmente collocati, vedono innalzare di colpo gli interessi passivi con conseguente esplosione del debito pubblico – il fenomeno è conosciuto come spred, divario espresso in percentuali verso un tasso di riferimento, che nel caso attuale è quello tedesco.
La seconda è che le banche controllano, attraverso le quote di proprietà, la Banca centrale che ha come obiettivo controllare i suoi proprietari: un gigantesco conflitto di interessi. La domanda qui diventa lecita: fatte queste premesse, ha senso parlare ancora di Istituto di diritto pubblico se la proprietà non lo è? In caso di conflitto di interesse prevale l’istituto pubblico o il capitale privato?
Qui ci sono due fazioni e due scuole di pensiero ben separate, tuttavia la pratica, attraverso le vicende del Monte dei Paschi, ci fornisce un’indicazione molto chiara, laddove la banca d’Italia risulta palesemente inadempiente nel suo compito di controllo.
Ci potremmo chiedere ancora: visto che l’emissione della moneta è effettuata dalla Banca centrale, in accordo con lo Stato, chi risulta proprietario della stessa? Se la proprietà, di fatto, risultasse della Banca centrale essa potrebbe creare moneta dal nulla, prestarla allo Stato lucrando sugli interessi, quello che si chiama signoraggio bancario.
Nel sito della banca d’Italia, alla voce signoraggio, cito testualmente cosa ci dice in merito:
“Oggi, quindi, il signoraggio viene percepito in prima battuta dalle banche centrali, le quali tuttavia lo riversano poi agli Stati, titolari ultimi della sovranità monetaria. La principale differenza consiste nelle modalità con cui si forma il signoraggio. Quando la moneta è prodotta dallo Stato, è quest’ultimo che, spendendola ad esempio per acquistare beni e servizi, la mette in circolo nell’economia e realizza immediatamente il controvalore, al netto dei costi di produzione. Quando invece è la banca centrale a emettere le banconote (o, più in generale, la base monetaria, che include anche le riserve costituite dalle banche su conti presso la banca centrale), queste non sono spese in beni e servizi ma fornite alle banche commerciali, in forma di prestito, per le esigenze del sistema economico, o utilizzate per l’acquisto di attività finanziarie, come i titoli di Stato o le attività in valuta estera; al valore delle banconote, iscritto al passivo del bilancio della banca centrale, corrisponde quindi l’iscrizione di attività fruttifere nell’attivo del bilancio, che rendono un interesse. Perciò la banca centrale ottiene il signoraggio nel corso del tempo, come flusso di interessi sulle proprie attività fruttifere, al netto del costo di produzione delle banconote. Il valore scontato di tale flusso, che come si è detto è riversato allo Stato, è pari a quello che quest’ultimo avrebbe ottenuto immettendo direttamente la banconota nel circuito economico”.

La stessa Banca d’Italia conferma di fatto l’esistenza del signoraggio bancario, indicando anche che la creazione di moneta dal nulla viene indicata in passivo nel bilancio della Banca stessa, voce che viene bilanciata dai titoli di Stato emessi a garanzia! Ma, in termini di pura ragioneria, una voce di attivo creato dal nulla messo a passivo in bilancio risuona come Lucifero in Paradiso, mentre lo stato che deve emettere titoli di credito per acquistare la propria moneta viene esautorato dai suoi diritti.
Quindi la moneta che abbiamo nelle nostre tasche è acquistata con titoli di stato che la collettività paga ai banchieri. Ciò ci fa molto riflettere sull’esistenza e crescita dell’enorme debito pubblico italiano, perché buona parte di esso potrebbe essere incostituzionale, così come sostengono alcuni illustri studiosi da anni.
Questo fenomeno non è solo italiano, ma è generalizzato in tantissimi paesi al mondo tanto da essere considerata una consuetudine. La stessa BCE vive questa anomalia in quanto creata come banca pubblica, ma essendo posseduta dalle banche centrali dei paesi membri vive in effetti al di sopra degli stati membri. Da qui la necessità di una chiarezza e trasparenza di attività che, in quanto slegata dagli stretti vincoli statali, non le può venir richiesta, né viene spontaneamente offerta.
La tanto auspicata lotta all’inflazione, tuttora cavallo di battaglia della BCE, cui prodest?
Per terminare una curiosa sincronia: J.F. Kennedy fece un famoso discorso – vedi video più sotto – nel quale chiese aiuto agli americani perché potessero riprendere la proprietà della moneta a scapito della Federal Reserve e dopo poco venne assassinato a Dallas. A suo fratello Robert accadde la stessa cosa pochi anni più tardi.
Pubblicato su Karmanews.
BIBLIOGRAFIA
Banca d’Italia – signoraggio –
video discroso J.F.Kennedy 27 aprile 1961 su banche e società segrete.
Orazio Tassone, Milano Finanza